L’India non è un vacanza, è un esperienza di vita. Il viaggio in india – Rajasthan ci ha insegnato così tanto sul mondo ed anche su noi stessi. E’ un percorso interiore che rimane impresso per sempre, ma non pensate che lo sia per merito di inflazionati concetti come la spiritualità induista o la tradizione ayurvedica. Anzi, queste non le vedrete proprio, a meno che non vi rifugiate in qualche monastero buddista nel Ladakh. Anche lì, però, ormai è tutto un gigantesco business creato ad hoc per depressi e annoiati occidentali con buone possibilità economiche in cerca di una pseudo-rinascita che provenga da chissà dove.
Quello che l’India regala ai viaggiatori è una sensazione di stordimento, di stupore e di incredulità di fronte a questa gigantesca società – sono quasi un miliardo e mezzo – dove tutto è estremizzato, molto spesso in negativo. Povertà assoluta, un modello sociale arcaico con culture e religioni disparate che cercano di convivere in un fragile equilibrio, un’urbanizzazione infernale e scene di vita quotidiana talmente assurde da essere difficilmente concepibili anche per i globetrotters più incalliti. Ogni scorcio di questo immenso paese, a prescindere che ci si trovi in una città o nelle campagne, è un inno all’assurdità umana.
A differenza dell’Africa equatoriale, povera sì ma anche primitiva, dove la gente vive in capanne ed è circondata dalla natura, l’India (o almeno quella parte che noi abbiamo visitato) sembra cosparsa da immensi e sovraffollati conglomerati industrial-urbani, senza fognature né raccolta dei rifiuti dove, tra distese di baracche e bizzarre palazzine a cui spesso mancano o le facciate o addirittura i tetti, dove i bambini scalzi (e spesso anche completamente nudi) giocano contornati da immondizia, fango, detriti di ogni genere e magrissime mucche che sembrano non meravigliarsi di nulla.
Il tutto immerso in un traffico incredibile, dove stranissimi mezzi di locomozione a una, due, tre o più ruote, coloratissimi camion addobbati come da altari religiosi, carrelli spinti da uomini, donne o bambini, motorini, cammelli, asini e pedoni – zoppi, ciechi, mutilati, scalzi e di qualsiasi religione – si muovono senza alcuna regola in ogni direzione, imboccando le strade contromano, in diagonale, di traverso, passando a pochi millimetri l’uno dall’altro, urlando e suonando il clacson. E quando ci si sposta nei villaggi e nelle campagne lo scenario cambia poco. Insomma, un circo!
Essendo il nostro primo viaggio in India, avevamo deciso di visitare la parte considerata più suggestiva ed emblematica – il Rajasthan, lo Stato dei Maharaja. L’itinerario da noi creato prevedeva quindi due notti nella capitale New Delhi, due ad Agra, per visitare il Taj Mahal, due a Samode – un suggestivo villaggio nelle vicinanze di Jaipur – e infine altre due nel parco nazionale di Ranthambore.
Il periodo migliore è tassativamente quello da novembre a febbraio, secco, assolato e non serve nemmeno la vaccinazione antimalarica. Sconsigliamo vivamente di andarci d’estate e soprattutto nella stagione dei monsoni, quando al caldo torrido si aggiungono piogge che durano giorni e un’umidità infernale.
Dopo un attento studio ci è stato consigliato di affidarci ad un agente locale per l’organizzazione, dandogli le dovute indicazioni.
Trasporti: Il timore più grande era quello di doverci spostare da una città all’altra in aereo, immaginando come potevano essere i velivoli di un paese dove l’auto più moderna sembra uscita da un film degli anni ’60 e dove, con il dovuto rispetto, manutenzione e pezzi di ricambio sono gestiti da indiani. Così, date le distanze non eccessive tra le nostre mete, abbiamo richiesto un autista per tutta la durata del viaggio, rinunciando, così, solo a Varanasi – il luogo sul Gange dove gli indiani vanno a morire – che risultava un po’ defilato rispetto al tragitto.
A posteriori possiamo dire che è stata la scelta giusta. L’autista, discreto, riservato e disponibile, ci ha accompagnato per tutto il viaggio che, altrimenti, non avremmo potuto proprio fare. Innanzitutto perché non si può dire che in India esistono trasporti pubblici, almeno per non indiani. Treni allucinanti, sovraffollati, con gente che sale e scende in movimento, ragazzini aggrappati alle maniglie che penzolano fuori e mucche che attraversano i binari. Abbiamo anche sentito qualche amico che aveva avuto l’idea di fare il giro dell’India in autobus, ma dopo averne visti numerosi esemplari lo sconsigliamo e se proprio non volete far rinunciare all’avventura “estrema” optate almeno per il treno: è più difficile caricarci una pecora, c’è meno gente sul tetto e in linea di massima si sa, non quando, ma almeno se arriverete a destinazione.
Inoltre, girando per l’India scoprirete che, anche nelle grandi città, difficilmente scenderete dall’auto per fare una passeggiata lungo qualche strada commerciale. Semplicemente perché non ci sono né strade commerciali né, in linea di massima, marciapiedi o spazi per camminare. Così, salvo le aree turistiche, di solito pedonali, intorno ai templi e alle moschee, per il resto rimarrete sul minivan, al sicuro e con aria condizionata accesa, ad osservare stupiti quello che succede fuori.
Le distanze tra le diverse mete del cosiddetto Triangolo D’Oro (Deli, Agra e Jaipur) sono comprese fra i 150 e i 250 km, ma bisogna considerare che per percorrerle si impiega molto più tempo che sulla Salerno-Reggiocalabria il 14 di agosto. Innanzitutto perché in India non esistono autostrade, almeno secondo il nostro concetto di viabilità. Vanno tutti piano, ma ciò non evita continui incidenti. Si incontrano camion che procedono tranquillamente contromano, altri in avaria sulla corsia di sorpasso, mucche, cammelli e gente a piedi che attraversa la strada spingendo carrelli e cariole.
I sorpassi di solito sono tripli … ed ecco una scena tipica a cui ci è capitato di assistere numerose volte: un camion che va a 30 km/h inizia a superarne un altro che va a 29 km/h, mentre un auto che procede a 31 km/h (e che forse è la velocità massima che può raggiungere) decide anch’essa di aggiungersi al gruppo affiancandosi a sua volta al camion che sta già sorpassando. I tre veicoli iniziano, così, a procedere parallelamente in una lenta agonia occupando tutta la strada mentre nell’altro senso appaiono in lontananza, sempre lentissimi, altri improbabili mezzi, magari anch’essi in sorpasso. Tutti suonano in contemporaneamente il clacson, ma senza accelerare o rimettersi in carreggiata. Te che assisiti allibito alla scena attendi un frontale apocalittico… ma all’ultimo istante, quando sono ormai a pochi metri, riescono miracolosamente a divincolarsi secondo una logica che esiste soltanto in India.
Ad ogni modo, data l’incredibile quantità di carcasse di pullman e camion abbandonati sui lati delle strade, non sempre tutto finisce bene!
Alberghi: Il peggior incubo per chi è viziato dal sano stile di vita occidentale, è attento alla propria salute ed è dedito all’igiene, è proprio un viaggio in India. Qui non c’è salvezza.
Malgrado tutti i vaccini, la profilassi, i fermenti e i fazzoletti iperdisinfettati che userete di continuo, prima o poi qualcosa vi colpirà … sarà un batterio che avrete ingerito involontariamente facendo la doccia nel vostro lussuoso albergo o mangiando un frutto che sembra sterilizzato… non importa: bisogna solo pregare che il malore arrivi alla fine del soggiorno. In ogni caso, per limitare i rischi c’è un solo rimedio, oltre naturalmente all’autista privato: alloggiare in alberghi di lusso. In India costano uno sproposito perché sono pochissimi, ma meravigliosi e, considerati gli altri, si tratta di un sacrificio assolutamente necessario.
La catena migliore è, naturalmente, la pluripremiata Oberoi. Siamo stati al moderno Oberoi New Delhi, con la sua meravigliosa piscina nera e affaccio su un campo da golf e all’Oberoi Vanyavilas, un tend-camp nel parco nazionale Ranthambore considerato uno dei 10 hotel migliori al mondo. Ad Agra purtroppo non abbiamo trovato posto all’Oberoi Amarvilas (altro strepitoso albergo che offre dalle stanze una vista davvero suggestiva sul Taj Mahal) e ci siamo dovuti accontentare del molto più modesto, ma comunque accettabile, Trident Agra, sempre 5 stelle. Solo a Jaipur abbiamo volutamente deciso di stare fuori città, soggiornando in un luogo davvero unico: l’antico palazzo del Maharaja trasformato in Hotel, il Samode Palace, che sovrasta l’omonimo villaggio.
Sono tutte strutture strepitose, di una bellezza unica, estremo lusso e un servizio che non si trova da nessun’altra parte al mondo. Nonostante il prezzo alto bisogna prenotare con largo anticipo, altrimenti rischiate di non trovare posto. Anche perché gli hotel di lusso in India sono delle vere oasi dove rifugiarsi in un paese dove tutto il resto è terribilmente povero e malridotto.
NEW DELHI
Atterrati all’Aeroporto Internazionale di New Delhi nel tardo pomeriggio, ci attendeva il nostro autista per accompagnarci all’Oberoi New Delhi. La mattina seguente, dopo una ricca colazione, abbiamo incontrato nella hall un rappresentante dell’agenzia che ci ha consegnato i voucher per gli alberghi e ci ha presentato al nostro accompagnatore, un tranquillo ed educato indiano che parlava discretamente l’inglese e odorava molto poco di curry rispetto alla media.
Saliti sul minivan Toyota, nulla di eccezionale, ma di estremo lusso per lo standard locale, siamo partiti per l’esplorazione della capitale indiana. New Delhi è probabilmente nella Top 10 delle più brutte capitali del mondo. Per la maggior parte progettata dagli inglesi agli inizi del XX secolo, ha un’urbanistica abbastanza incomprensibile: non ha un vero e proprio centro, né un’apparente logica salvo il fatto che tutto si sviluppa intorno a due larghi e polverosi viali, Rajpath e Janpath, e non ha nemmeno molto da vedere. In ogni caso, in una giornata l’autista vi accompagnerà in tutti i luoghi più interessanti. Nella parte nuova vedrete il Parlamento, circondato da vari palazzi amministrativi e l’India Gate, un arco celebrativo dei soldati caduti, posto su una delle estremità del viale Rajpath.
Da lì andrete al molto più interessante Mausoleo di Humayun, un imponente tempio circondato da un ampio parco, contenente la tomba dell’Imperatore Moghul Humayun e altri edifici davvero belli. Il complesso è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Poi vi attende la Vecchia Delhi, tutta racchiusa intorno al Mercato di Chandni Chowk, elogiato dalle guide turistiche, ma che quando lo vedrete vi farà passare ogni voglia di scendere a fare due passi. Quelli li farete, invece, al Jama Masjid, l’imponente Moschea di Chandni Chowk, forse l’edificio che resta più impresso dell’intera New Delhi. Salendo le scale e oltrepassando l’ingresso vi troverete in un immenso cortile che può ospitare venticinquemila fedeli.
Li avrete anche il primo vero impatto con la coloratissima e stravagante società indiana; vedrete numerosi gruppi di pellegrini seduti per terra, vestiti con i tradizionali sari, con orecchini sul naso, cose infilzate nelle orecchie e altre stranezze, mendicanti e uomini con lunghe bare e giganteschi turbanti. Sempre a Chandni Chowk c’è anche il Digambar Jain Lal Temple, il più importante luogo sacro buddista di New Delhi.
E con questo la capitale indiana avrà esaurito le sue attrazioni e potete tornare in albergo per una rilassante nuotata in piscina, la cena (rigorosamente negli hotel, altrimenti rischiate la vita) e una bella dormita.
La mattina seguente siamo saliti sul minivan diretti ad Agra, che dista circa 200 chilometri. Come abbiamo già detto, in India la vera attrazione è la vita quotidiana.
La prima ora di auto l’abbiamo impegnata per uscire da New Delhi lungo una specie di strada che attraversa le infinite periferie composte da distese di baraccopoli e il solito formicaio di mezzi, pedoni, clacson, mucche e cammelli. Dai finestrini dell’auto si vedono gli scenari urbani più incredibili: gente che si lava insaponandosi a delle fontanelle sul ciglio della strada, altri che dormono su delle amache in mezzo alla polvere alzata dai camion, improponibili botteghe che vendono ancora più improponibili oggetti, barbieri che radono i clienti agli incroci, mendicanti mutilati, fognature all’aperto, bambini che giocano contornati da maiali e mucche…
Usciti dalla città, il paesaggio cambia ma le assurdità no: gruppi di donne con coloratissimi sari che fanno i lavori stradali (tipo Anas); persone che zappano la terra qua e là; scolaresche che camminano lungo la banchina in mezzo al nulla; pittoreschi camion senza sportelli nella cui cabina ci stanno in venti – seduti, in piedi, sdraiati – e sul retro c’è l’immancabile scritta “blow horn” (suonare il clacson); e così via…
AGRA
Siamo arrivati ad Agra all’ora di pranzo, dopo circa 5 ore per fare 200km. La cittadina è il solito insensato conglomerato di case, fango e zozzeria, ma a dimensione più umana. E visto che qui c’è la più grande attrazione turistica del paese, ci sono un infinità di alberghi di ogni tipo, dai 5 stelle per gli occidentali a quelli più miseri. Abbiamo lasciato i bagagli al nostro Trident Agra e dopo un breve spuntino ci siamo incamminati a piedi verso l’entrata del complesso del Taj Mahal.
Dopo aver preso i biglietti, fatto la lunga fila per il controllo al metal detector, affrontato una altrettanto lunga trattativa con un ragazzo che diceva di essere una guida locale e che alla fine l’ha spuntata per l’equivalente di cinque euro, siamo finalmente entrati.
E’ difficile descrivere l’emozione quando, oltrepassando il primo cortile, racchiuso nel grande arco decorato di uno dei portoni d’accesso appare la sagoma bianca del Taj Mahal splendente al sole. E’ uno spettacolo incredibile, un luogo talmente straordinario da valere l’intero viaggio. C’è qualcosa di magnifico, nelle prospettive, nei due viali incorniciati da vasche che fanno riflettere il candore del mausoleo, nel suo marmo splendente, nel significato stesso di questa incredibile opera che è la più grande testimonianza d’amore che l’umanità abbia mai conosciuto. Non per caso il Taj Mahal è tra le sette meraviglie del mondo moderno.
Non abbiate fretta, sedetevi ad osservarlo, fermatevi lungo i viali, girategli intorno, affacciatevi sul retro – dalla parte del fiume -, insomma, godetevelo, sapendo che vi rimarrà impresso per tutta la vita.
Dal primo pomeriggio in poi qui è anche il luogo dove scattare la foto più bella e simbolica del viaggio in India. All’interno del complesso non è ammesso l’uso dei treppiedi, perciò dovrete chiedere alla guida, premesso che ne avete ingaggiata una all’ingresso, o in alternativa a qualche altro turista, il favore di fotografarvi. In ogni caso, l’inquadratura migliore è naturalmente quella frontale, immediatamente dopo la prima vasca, così da poter riprendere anche il riflesso del mausoleo nell’acqua.
Siamo rimasti lì fino al tramonto, davvero suggestivo, e poi siamo tornati in albergo. La mattina, dopo una breve visita al Forte Rosso, siamo partiti per Samode, sito a circa 40km da Jaipur.
SAMODE
Samode è un caratteristico villaggio ai piedi di un roccioso monte, sovrastato da uno dei più belli e suggestivi palazzi dell’intero Rajasthan, lo splendido Samode Palace, residenza di un Maharaja e ora trasformato in un albergo di lusso. Dall’hotel, al quale si arriva sull’unica strada che attraversa il paese, si può salire fino in cima al colle, grazie ad una ripida scalinata usata anche come mulattiera e punto di raduno per centinaia di scimmie, da dove lo sguardo abbraccia mezzo Rajasthan.
Un luogo di grande bellezza e suggestione, che in qualche modo racchiude l’intera India tra un pugno di case. L’hotel è strepitoso ed è altrettanto emozionante scendere a piedi fino al villaggio ed incamminarsi sulle stradine piene di piccole botteghe di artigiani e giocosi e sorridenti bambini che corrono, s’inseguono, vi guardano e salutano intimiditi.
La sera il Samode Palace viene illuminato da migliaia di fiaccole e candele, mentre giù nella vallata il piccolo villaggio si prepara ad andare a dormire.
JAIPUR
La mattina dopo ci attendeva Jaipur, denominata la “città rosa” per via del colore delle sue abitazioni. E’ un centro molto grande, abitato da oltre 3 milioni di persone distribuite su una superficie immensa di basse case e baracche.
La prima attrazione da visitare è il magnifico Palazzo dei Venti, sito sulla via principale di Jaipur. E’ uno degli edifici più interessanti e bizzarri dell’intera India. Alto otto piani, ha una facciata riccamente decorata e ricoperta da centinaia di finestre e fessure dalle quali le altrettante mogli del Maharaja passavano il tempo ad osservare la vita che scorreva ai loro piedi senza essere viste. Se volete fare una foto, attraversate la strada, infilatevi tra i numerosi negozi di fronte al Palazzo dei Venti e, salendo al piano di sopra, troverete un piccolo terrazzino affacciato sulla strada. E’ il punto migliore che c’è. Poi, passando a piedi alle spalle del Palazzo dei Venti, troverete il Jantar Mantar, un osservatorio astronomico a cielo aperto con strumenti in pietra, e alcuni palazzi interessanti.
E’ una delle poche aree pulite e civili dell’intera zona, perciò godetevela, bevete qualcosa e rilassatevi. Finito il giro, risalite in macchina e raggiugete il Forte Amber, una delle più impressionanti fortificazioni dell’India. Sito a 11km da Jaipur, domina le valli circostanti mentre le sue possenti mura si estendono sulle colline intorno. E un complesso davvero magnifico, che si raggiunge a piedi o meglio a dorso di elefante. Ritagliatevi mezza giornata per visitarlo. Vale la pena.
Prima di tornare a Samode siamo passati anche a vedere il Jal Mahal, il Palazzo dell’Acqua, costruito al centro di un piccolo lago e a fare un po’ di shopping di artigianato locale: le imperdibili sciarpe pashmina e una statua del Buddha.
RANTHAMBORE NATIONAL PARK
Così, ci restava l’ultima tappa del nostro viaggio in Rajasthan, il Parco Nazionale Ranthambore, un’enorme area protetta, habitat naturale di leopardi, antilopi azzurre, scimmie, coccodrilli, ma famosa soprattutto per le tigri. Per le due notti nel parco abbiamo optato per un alloggio davvero unico, l’Oberoi Vanyavilas (Small Luxory Hotel), un campo tendato, premiato più volte tra i migliori hotel al mondo.
Avevamo prenotato un safari per la mattina seguente e così ci siamo svegliati alle quattro per essere pronti all’arrivo del piccolo fuoristrada che ci ha accompagnato nella riserva. Nonostante, però, il grande impegno dei rangers che ci portavano su e giù per le colline, comunicando via radio in cerca di tigri, non ne abbiamo vista nemmeno una e l’unica vera traccia della tigre è quella che vedete qua sotto!
Anche se abbiamo visto tantissimi altri animali (fra cui coccodrilli, antilopi, scimmie e uccelli di ogni tipo), un po’ rammaricati, siamo ritornati in albergo immergendoci nel suo lusso consolatorio.
RITORNO A DELHI
Il giorno dopo ci saremmo dovuti mettere in macchina per tornare a New Delhi da dove, a mezzanotte, partiva il nostro volo per Roma. La strada passava per Jaipur e trovandoci lì verso le quattro del pomeriggio, il nostro autista ha insistito affinché prendessimo l’aereo per la capitale.
Avevamo molte ore a disposizione e soli 200km di strada, ma iniziava a fare buio e secondo l’autista se fosse calata la nebbia, rischiavamo di perdere il volo. Alla vista dell’aeroporto di Jaipur, che sembrava più che altro una vecchia e malridotta stazione ferroviaria, ci tremavano le ginocchia dal terrore di quello che sarebbe stato l’aereo. Dentro il terminal la situazione e le sensazioni non miglioravano affatto finché non vedemmo, sulla pista deserta … un nuovissimo Boeing 777 della India Air che ci fece tirare un sospiro di sollievo!
Solo successivamente abbiamo scoperto che per mancanza di velivoli decenti a corto raggio, è ususale che i grandi aerei per i voli intercontinentali, prima di raggiungere mete come Dubai o Hong Kong, iniziano a fare da “taxi” tra le principali città indiane scaricando e caricando passeggeri. Così, una volta imbarcati, l’aereo è riuscito ad alzarsi di non più di 5000 metri prima di ricominciare la discesa verso New Delhi, dopo poco più di mezz’ora di volo.
Averlo saputo prima e avendo avuto la certezza che questa regola sia sempre valida, avremmo visitato anche Varanasi e Udaipur, scartati dal nostro giro per via delle distanze che in auto ci sembravano esagerate. Sarà per la prossima volta!
Tornati in Italia, oltre che con l’immancabile disturbo intestinale, abbiamo convissuto per settimane con il ricordo di un paese pesante, difficile da digerire, impregnato di un nauseante odore di curry e fogne a cielo aperto, con scenari forti e a volte ripugnanti.
Ma poi, inspiegabilmente, tutto questo lascia il posto al desiderio di tornarci, magari per visitare un’altra zona, per riprovare le stesse emozioni e magari anche delle nuove. E’ come un film d’orrore, non lo vogliamo vedere, siamo disgustati, ma alla fine proviamo un inspiegabile piacere masochistico nel continuare a torturarci seguendolo fino alla fine.
Questa è l’India: un posto unico! Più che una destinazione turistica è un’esperienza di vita ed un luogo che qualsiasi occidentale dovrebbe conoscere… Salvo ovviamente i deboli di stomaco!
अच्छी यात्रा